FILOSOFIA E TEOLOGIA
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«Lhomo faber rivolge a se stesso la propria arte e si appresta a riprogettare con ingegnosità l’inventore e l’artefice di tutto il resto». Delineando con queste parole il senso di marcia dell’ultima fase della rivoluzione tecnologica, Hans Jonas pensa evidentemente a quello sbocco finale di essa al quale egli guarda, come si sa, con timore e tremore: «il controllo genetico dell’umanità» come ultimo oggetto di una tecnologia applicata all’uomo, «il sogno ambizioso dell’homo faber […] di prendere in mano la propria evoluzione non soltanto allo scopo di conservare la specie nella sua integrità, ma anche per migliorarla e trasformarla in base al proprio progetto». Allo stato attuale delle conoscenze e delle effettive possibilità della tecnologia, non sappiamo se e in che misura questa prospettiva di una specie umana che divenga creatrice di se stessa sia davvero possibile o se non sia soltanto un mito alimentato, a seconda dei casi, dalla paura o dall’enfasi ottimistica di una certa ideologia del progresso tecnico scientifico. Non si può negare, tuttavia, che un buon tratto di strada in questa direzione sia già stato compiuto. Una vasta gamma di nuove possibilità di intervento tecnico sull’organismo umano e sulle sue strutture biologiche elementari, del tutto impensabile appena qualche decennio fa, è entrato stabilmente a far parte del nostro orizzonte di esperienza. Basterà ricordare soltanto quelle tecnologie biomediche in virtù delle quali momenti e dimensioni della vita – come la generazione, l’invecchiamento e la morte – un tempo rimessi alla spontaneità del divenire naturale o, a seconda dei punti di vista, al disegno imperscrutabile del Signore della vita e della morte, sono entrati nel raggio delle nostre possibilità di decisione e di controllo. Non c’è dubbio che l’apertura di questa nuovissima frontiera del progresso scientifico e tecnologico abbia segnato il passaggio ad una fase nuova della storia dell’umanità, carica di molte promesse e di molte aspettative, soprattutto sul fronte della lotta alla sofferenza e alla malattia, ma anche di molti, inquietanti interrogativi e di nuove responsabilità. Altrettanto indubbio è il fatto che essa, interagendo con mutamenti profondi degli stili di vita, dei comportamenti e dei costumi, avvenuti per lo più sotto le spinte complementari del dominio del mercato globale e di un marcato individualismo etico, stia determinando trasformazioni radicali della cultura, dell’ethos e della stessa comprensione della condizione umana che – al di là delle numerose questioni particolari di ordine etico che negli ultimi decenni hanno dato luogo alla costituzione e al rigoglioso sviluppo dell’ambito disciplinare della bioetica – pongono innanzitutto l’esigenza di una diagnosi storica complessiva, ancora in gran parte insoddisfatta, se non nelle forme unilaterali dell’esaltazione ottimistica delle prospettive aperte dai progressi della tecnologia o, sul versante opposto, del grido d’allarme circa i pericoli ai quali si troverebbe esposta l’umanità.

Gli articoli pubblicati nella sezione monografica di questo fascicolo non hanno alcuna pretesa di esaurire tale compito, che non può che essere di lunga lena, ma solo quella di tentare qualche assaggio in questa direzione. Essi sono il risultato di un laborioso itinerario di ricerca e di dibattito seminariale della redazione meridionale della rivista che ha preso avvio nel quadro di una riflessione sul più ampio orizzonte tematico che da alcuni anni impegna «Filosofia e Teologia» sotto il titolo generale «Tramonto o trasfigurazione del cristianesimo?» e che ad un certo punto del suo cammino ha potuto avvalersi anche dell’apporto di studiosi esterni come i professori Roberto Esposito e Giannino Piana che hanno generosamente accolto l’invito della redazione a tenere seminari su specifiche questioni. È dunque a partire dall’interrogazione sul destino del cristianesimo nell’attuale contesto culturale occidentale e dalla ricognizione delle sfide che esso è chiamato ad affrontare nel presente e in un prevedibile futuro che è venuta maturando l’esigenza di fermare l’attenzione sulle complesse dinamiche storico-culturali attivate dagli sviluppi delle scienze biologiche e dei saperi biomedici e dalle nuove possibilità di «governo tecnico della vita» che essi rendono disponibili. Nella prospettiva di questo orizzonte problematico la domanda di fondo è quella che riguarda la questione storica della secolarizzazione. Siamo in presenza di un’avanzata ulteriore e senza resti di quel processo di secolarizzazione che ha caratterizzato la storia della modernità occidentale? Oppure siamo in presenza di un processo meno lineare, più complesso, meno definito di quanto sembri nei suoi possibili esiti, e comunque di una qualche discontinuità rispetto alle fasi che hanno preceduto quella che attualmente stiamo vivendo? Per un verso, il momento in cui le possibilità di dominio tecnico della vita investono non più soltanto il mondo materiale e le condizioni esterne dell’esistenza ma le strutture biologiche portanti della nostra stessa vita sembrerebbe segnare l’avvento di una società e di una cultura compiutamente secolarizzate. I momenti e le dimensioni della vita più carichi di valenze simboliche, perché da sempre sottratti alla nostra disponibilità – come il generare, il nascere e il morire -, divenuti oggetto di possibile decisione in ragione delle opportunità offerte dalle tecnologie biomediche sembrano destinate a perdere l’aura di sacralità che da sempre li avvolge nella storia dell’umanità. Per converso la scienza sembra surrogare il ruolo salvifico da sempre svolto dalle religioni, se non altro per le attese di liberazione dai limiti del corpo, di salute, di bellezza, di prolungata giovinezza, di vita buona e felice che, a torto o a ragione, a essa si rivolgono.

Per un altro verso, però, le possibilità di manipolazione tecnica del vivente suscitano inquietudine per il modo in cui esse possono condizionare il destino dei singoli e della specie, per l’imprevedibilità delle loro conseguenze a lungo termine, per le trasformazione delle relazioni sociali più significative, a partire da quelle parentali, che esse rendono possibili; pongono di fronte a inediti dilemmi, come ad esempio quello che riguarda gli interventi diagnostici o terapeutici sugli embrioni umani che promettono la liberazione da tremende malattie, ma possono aprire il varco a pratiche di eugenetica negativa o positiva; richiedono a individui e comunità politiche decisioni impegnative che rinviano a criteri ultimi di orientamento, sui quali v’è ragione di dubitare che le scienze e le tecniche possano avere l’ultima parola. «Quando si è risposto esattamente a tutte le domande scientifiche – ha scritto una volta Wittgenstein – non si sono ancora toccati i nostri problemi vitali». L’avanzata del processo di secolarizzazione sotto l’impulso della rivoluzione biotecnologia sembra insomma segnare per contraccolpo il passaggio a una fase nuova, per le cui ambiguità e per i cui incerti confini non si è trovato per ora altro nome che quello che allude soltanto ad un dopo, quello di post-secolarismo. Con questa denominazione, come si sa, ci si riferisce principalmente al fenomeno del ritorno delle religioni sulla scena pubblica che ha colto di sorpresa i teorici della «città secolare» e viene compreso per lo più come una conseguenza del vuoto lasciato dal tramonto delle ideologie del XX secolo. Ma forse, come molti ritengono, esso è l’espressione vistosa di qualcosa di più profondo e di più strutturale, di una soglia critica raggiunta dal processo di secolarizzazione. La quale sembra consistere non solo e non tanto nell’incapacità della ragione tecnica di fornire motivazioni univoche e cogenti per le scelte che siamo chiamati a compiere quando siano in gioco questioni vitali, ma soprattutto nel fatto che il complesso tecnico-scientifico, a dispetto della sua presunta neutralità, è divenuto nel frattempo portatore di visioni dell’umano e di valori che appaiono fortemente riduttivi rispetto alla ricchezza di sensi della vita elaborati nel corso di una storia millenaria, quando non sono destinati ad entrare in rotta di collisione con opposti valori di cui sono portatrici in particolare, ma non solo, le fedi religiose, in primo luogo quello della dignità inviolabile della vita umana. Non per nulla uno dei tratti più rilevanti dell’attuale situazione, che ne segna anche la più vistosa discontinuità rispetto alle fasi che l’hanno preceduta, sembra consistere proprio nella nuova centralità che le questioni di senso hanno acquisito nel dibattito pubblico e nel riconoscimento dell’importanza del contributo che può essere offerto dalle fedi religiose.

Ma il dopo non si presenta come un puro e semplice ritorno al prima, né lo potrebbe, non solo perché le tradizioni religiose, filosofiche e culturali sono chiamate a rivisitare e a rimettere in movimento le preziose «riserve di senso» di cui sono portatrici per confrontarsi positivamente e con discernimento con le nuove acquisizioni della scienza e con le nuove possibilità offerte dalle tecnologie, ma soprattutto per il contesto di pluralismo culturale, etico e religioso che caratterizza il mondo attuale. In relazione a quest’ultimo profilo assume un rilievo del tutto particolare la questione del ruolo del potere politico rispetto ai problemi posti dalle tecnologie biomediche. Occorre che esso si astenga dall’intervenire lasciando all’autonoma determinazione degli individui la decisione circa la possibilità di avvalersi delle opportunità offerte dalla tecnologia? Oppure è necessario che delle regole vengano stabilite e dei limiti vengano posti, soprattutto in relazione a quelle pratiche che possono incidere non soltanto su coloro che decidessero di avvalersene? E quali sono le ragioni che possono giustificare l’una o l’altra opzione? Quali le conseguenze di ciascuna? Quale contributo può dare all’elaborazione di queste questioni la categoria di «biopolitica», introdotta di Michel Foucault per designare le trasformazioni prodotte nelle forme di governo in età moderna dal ricorso ai saperi bio-antropologici e molto presente nel dibattito attualmente in corso in Italia? I contributi di seguito pubblicati non possono e non vogliono essere nulla di più che dei colpi di sonda lanciati nell’ampio arco di questioni qui sommariamente delineate. Essi esprimono posizioni talora tra loro diverse, come è naturale che avvenga in una comunità di studiosi nella quale la presenza di competenze, di sensibilità, di orientamenti diversi non è di ostacolo al confronto e all’arricchimento reciproci. Ciò che li accomuna è il desiderio non tanto di prospettare soluzioni quanto di gettare qualche luce sui profili problematici della situazione attuale. Quanto al bisogno di un ethos condiviso che sia all’altezza delle nuove sfide alle quali si trova esposta l’umanità, che viene esplicitamente evocato in alcuni dei contributi, ma resta sullo sfondo di tutta la ricerca, c’è da chiedersi se non sia ancora attuale il richiamo all’oracolo di Isaia col quale Max Weber concludeva, quasi un secolo fa, la conferenza su La scienza come profesione: «Una voce chiama da Seir in Edom: Sentinella! Quanto durerà ancora la notte? E la sentinella risponde: Verrà il mattino ma è ancor notte. Se volete domandare, tornate un’altra volta»; sapendo che quel richiamo non aveva il senso dell’invito ad un’attesa inerte, perché accompagnato dalla persuasione che quel che avverrà dipenderà anche dal modo in cui nel frattempo ciascuno avrà adempiuto al proprio «compito quotidiano» seguendo «il demone che tiene i fili della sua vita».

Questo fascicolo era pronto per la stampa quando è giunta inattesa la notizia della dipartita di Angela Putino che alla preparazione della sua sezione monografica aveva offerto, come di consueto, il contributo prezioso della sua competenza e della sua vivacissima, appassionata intelligenza. Il suo articolo su L’homo oeconomicus della biopolitica, pubblicato tra le ‘Questioni’ nella sezione monografica, viene ad essere così il suo ultimo lavoro. Forse è una singolare coincidenza, o forse non lo è, il fatto che esso si apra con una riflessione sul significato della morte nell’epoca in cui la vita entra nel dominio della «biopolitica», ispirata dalla contemplazione del quadro di Hans Holbein il Giovane raffigurante il Cristo morto. Alla memoria di Angela Putino, che ha fatto parte della redazione meridionale della rivista fin dalla sua costituzione, va l’omaggio e il grato ricordo di «Filosofia e Teologia».

Giuseppe Razzino