Editoriale fascicolo XXXVIII, 2 (2024)
Quale casa mi potreste costruire?
In quale luogo potrei fissare la mia dimora?
Isaia 66, 1
Il doppio titolo. Serve a indicare il contenuto, diretto o indiretto, di molti contributi (Post-teismo e dintorni) in tensione con il tema che fa da fulcro attrattore ed è la vera posta in gioco, ben al di là delle riflessioni e discussioni qui proposte (Dio in questione). Lo spunto di partenza è stato il post-teismo che in varie forme si sta proponendo da qualche tempo; i suoi dintorni, tuttavia, segnalano che il fascicolo non vuol concentrarsi sul post-teismo in quanto tale ma, mentre ne discute ampiamente, si propone di farne un pre-testo per ampliare la riflessione che di lì può scaturire, per provocazione, per contrasto o per altro approfondimento. L’intento allargato che fa da indicatore all’insieme delle indagini gravita sul primo elemento del titolo: prendere spunto dal post-teismo e dai problemi che solleva significa rilevare che, ancora una volta, ad essere in questione è Dio stesso – il suo Nome e il suo Mistero -, tanto in sé quanto nel modo di considerarlo, di cercarlo, di trovarlo o non trovarlo.
Il fascicolo nella sua articolazione. La prima sezione (Questioni) è molto ampia con in apertura la ricognizione che Giovanni Ferretti ha fatto sul post-teismo come si presenta nell’area culturale italiana. Grazie a questa ampia descrizione si deve tener conto che siamo di fronte ad un filone variegato tanto nelle istanze quanto nelle realizzazioni, cosicché di volta in volta la denominazione può assumere connotazioni altrettanto variegate, al limite della contraddizione o della reciproca esclusione. Dalla sua fenomenologia viene ricavata una serie di rilievi che evidenziano gli snodi critici di questo orientamento teologico, filosofico e scientifico in stretta connessione e tensione con i nuclei centrali della fede cristiana.
In molti casi il post-teismo, nel dichiarare non più accettabile la formulazione dottrinale della teologia cristiana, coinvolge innanzitutto il dogma trinitario. Il saggio di Alberto Cozzi si confronta con queste critiche e propone una ontologia trinitaria che non solo ne vuole essere esente ma soprattutto intende esprimerne aspetti che ne sarebbero elusi o misconosciuti. Secondo questa prospettiva il punto di partenza non deve essere l’istanza ricavata dalle scienze contemporanee e dalla nuova visione della realtà, del mondo e dell’umanità che ne consegue, quanto dalla novità del Dio di Gesù Cristo.
Dal versante più strettamente filosofico l’esame del post-teismo è realizzato da Enrico Guglielminetti e Ugo Perone, in una riflessione con un andamento quasi dialogico in alcuni loro passaggi. Una delle obiezioni più diffuse nei confronti del teismo s’incentra sulla definizione (ritenuta antropomorfica) di Dio in termini di Persona, con l’opzione inversa a favore dell’impersonale. Guglielminetti mette in discussione in modo dialettico questa versione ontologica, assai diffusa nel Novecento (il Deserto e il Nulla), prima e al di là del post-teismo. Perone, a sua volta, colloca l’esame del post-teismo nella temperie della secolarizzazione, descritta come processo di decostruzione e immanentizzazione, e delle sue implicazioni che riguardano la verità ridotta a certezza; in alternativa propone la riarticolazione nella storia del rapporto tra trascendenza e verità.
La seconda sezione (Figure) allarga l’indagine ai dintorni del post-teismo: la molte volte evocata visione del mondo scaturita dalle scienze (fisica e neuroscienze in particolare); alcune antiche fonti di ispirazione (il neoplatonismo) e possibili confronti più che comparativi con tradizioni orientali (lo śivaismo tantrico); dibattiti recenti sul monoteismo biblico e sul teismo occidentale in rapporto con il pensiero cinese.
Una delle tesi ricorrenti nel post-teismo è l’incompatibilità della concezione tradizionale di Dio e della creazione con la concezione scientifica del mondo, in particolare quella che scaturisce da cosmologia, fisica quantistica, teoria dell’evoluzione e neuroscienze. Quanto sia o non sia pertinente questo rilievo particolarmente sottolineato e quanto sia adeguato il nesso stabilito tra teologia e scienze nella formulazione post-teista è preso in esame da Ferruccio Ceragioli[1].
Il post-teismo in qualche sua espressione rimanda ad antecedenti filosofici e teologici di singolare, in particolare a quelli improntati dal neoplatonismo. Antonio Dall’Igna ne fa vedere una convergenza positiva e significativa con meister Eckhart, Niccolò Cusano e Simone Weil. A Cusano rivolge pure la sua attenzione Emma Lavinia Bon in un singolare raffronto con lo śivaismo tantrico, per un pensiero che si voglia non duale. Tale raffronto non è che un capitolo a proposito dei tanti rimandi che un numero significativo di esponenti della ricerca scientifica, soprattutto in campo fisico, fanno a filosofie e religioni orientali, con una ricaduta diretta su alcuni esponenti del post-teismo.
L’apprezzamento post-teista della religione tendenzialmente negativo si affianca ad altre critiche, talvolta ne rasenta la condivisione nel tono e nei motivi. Oreste Aime estrapola da alcuni autori contemporanei (P. Sloterdijk, J. Assmann, J. Habermas, F. Jullien) una specifica questione, oggetto di critica ma anche di parziale difesa. Un certo elogio del politeismo, diffuso in molti contesti ma rintracciabile anche in alcuni capitoli del post-teismo, quelli che riabilitano le divinità antecedenti la rivoluzione neolitica, fa da cornice ad una contestazione esplicita del monoteismo, che talvolta rivela assonanze con alcune tesi del post-teismo. Un previsto saggio sulle forme del divino e l’epoca assiale avrebbe dovuto fornire qualche elemento di orientamento sul lato storico e fenomenologico a proposito della fase della religione, che Charles Taylor chiama post-durkheimiana e che nel teismo ha un caposaldo messo in forte discussione dal post-teismo[2].
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Ieri e oggi. Presentato l’itinerario complessivo del fascicolo, si può passare all’evidenziazione di alcuni aspetti che possono essere estratti dal suo insieme o perché direttamente discussi o perché presi in considerazione solo parziale; ad essi si possono aggiungere alcuni tratti non particolarmente esplicitati ma importanti nel dibattito segnalato dal doppio titolo.
Si può incominciare rilevando che il post-teismo non è un capitolo del tutto nuovo. Per rimanere a tempi recenti ci si potrebbe rifare a Honest to God (1963) di John A.T. Robinson e al suo enorme successo editoriale; nello stesso anno Paul Tillich, che stava proponendo una forma di transteismo, nel suo ultimo ciclo di lezioni si interrogava a favore della rilevanza del cristianesimo a fronte di molti segnali di irrilevanza[3]. In quella stessa temperie di lì a poco si delineò con un certo clamore la teologia della morte di Dio (Gabriel Vahanian, Wiiliam Hamilton, Thomas Altizer, Paul van Buren, il primo Harvey Cox). Era il tempo della società affluente, caratterizzata sia dall’incremento esponenziale dei consumi sia dalla secolarizzazione, che si manifestava come elemento essenziale di un processo inarrestabile e decisivo (la città secolare), attraversato da tensioni utopiche e libertarie di natura socio-politica[4].
A differenza di allora, il quadro culturale e sociale attuale è dominato da ben altri fattori: la globalizzazione, abbozzi di interculturalità e studi post-coloniali, la crisi ecologica, la crescita delle disparità sociali, la paura del futuro, la pervasività della visione scientifica e scientista del mondo, l’infosfera, la possibile tirannia dell’algoritmo.
In entrambi i casi la motivazione teologica fu, allora, ed è, oggi, in molta parte autonoma, ma non al punto da rendere trascurabile il riferimento contestuale (nella teologia cattolica scaturita dal Vaticano II l’aggiornamento della Gaudium et spes è avvenuto a rilento). Comune è la constatazione che il patrimonio della credenza religiosa è in grave difficoltà rispetto a sollecitazioni culturali e politiche nel primo caso e a istanze ecosistemiche e scientifiche nel secondo. Forse in entrambi i casi alla teologia, ma non solo, fa difetto la considerazione della tecnica, ancorata negli anni Sessanta alla fase matura della seconda industrializzazione e compresa come momento progressivo della società, oggi alla rivoluzione informatica in tutta la sua estensione, dall’infosfera all’intelligenza artificiale, con implicazioni sociali e culturali non facilmente diagnosticabili. La tecnica ha un impatto percettivo e pratico diverso dai moduli scientifici, che tendono ad essere considerati soprattutto sul lato cognitivo e teorico; l’attenzione concentrata su questi aspetti, nonostante la volontà di adesione al presente, ne mostra la parzialità. Vale a dire che il rapporto tra il post-teismo e dintorni con la tecnica e la ragione digitale merita uno studio a sé.
De divinis nominibus. Può essere utile però ricordare qualche momento più antico, che talvolta riaffiora nelle discussioni attuali. La disputa attorno alla nozione di Dio attraversa il pensiero occidentale dai suoi inizi e, per quanto riguarda la discussione avviata dal post-teismo, ha una fase nuova con la formazione del pensiero cristiano nella patristica e nel medioevo. Nei dibattiti medievali de divinis nominibus, scaturiti dall’acquisizione del trattato attribuito a Dionigi l’Areopagita, abbiamo un precedente non ancora esaurito (Bene, Essere, Potenza, Uno, ecc.). Le soluzioni, oscillanti nel cuore della Scolastica tra via affermationis, negationis et eminentiae, non sono del tutto superate così come il confronto con la scientia (allora aristotelico-tolemaica), le fonti bibliche nella varietà dei loro generi letterari, la possibilità stessa della nominazione di Dio e la compatibilità con il credo cristiano. Il dibattito fu intenso e raffinato, e le tesi prodotte, anche quelle dei XXIV filosofi, non sono affatto equiparabili a certi descrizioni attribuite al teismo, reso in versione in qualche caso rozza e dimidiata, e per altro verso ancora sotterraneamente presenti in qualche ambito del pensiero contemporaneo[5].
Da questa eredità religiosa, teologica e filosofica il post-teismo, in alcuni esponenti, trae ispirazione, rivolgendosi quasi unicamente al neoplatonismo, più raramente al momento originante in Platone che si appella al Bene come qualcosa che è «al di là dell’essere e dell’essenza» e che non è dio; il sovraessenzialismo neoplatonico è poi accordato e modulato con il misticismo (orientale e occidentale, un fenomeno nient’affatto univoco). Ne conseguono alcuni interrogativi. A quali condizioni può essere ripreso il neoplatonismo e in quale versione? Il richiamo a meister Eckhart e a Niccolò Cusano è ricorrente, in alcuni casi fuso o persino confuso con quelli a Giordano Bruno e Baruch Spinoza. È possibile tale rimando senza fare i conti con il dibattito che attraversa l’intero idealismo tedesco, che ha nella ripresa di Spinoza il punto di insorgenza? Bastano alcune assonanze o la condivisione di alcune istanze? Il caso Spinoza è esemplare anche per altri motivi. Il suo Deus sive natura oggi è quasi sempre inteso come Natura sive Deus, escludendo ogni rimando teologico di qualunque versione; se poi il Dio di Spinoza poteva essere accettabile a Albert Einstein per la sua natura rigorosamente determinista, non altrettanto vale per la fisica quantistica. D’altra parte, è proprio l’apparentamento della fede cristiana con la filosofia dell’Essere, dell’Uno e dell’Assoluto, anestetizzata nell’affettività, ad essere messo in discussione dall’ontologia trinitaria e generativa redatta da Pierangelo Sequeri, che vuol essere alternativa ai modelli teisti e tanto più a quelli post-teisti[6].
Questi brevi cenni sono sufficienti per sollecitare indagini ed esplicitazioni più circostanziate; una considerazione nella lunga durata e in una più ampia comparazione permetterebbe di soppesare meglio la «novità» delle tesi post-teiste; i dintorni richiederanno altri approfondimenti, in parte già abbozzati nell’insieme del fascicolo o accennati in questo editoriale.
Scienza e teologia. Un’accentuazione singolare della cultura propria alla stagione a cavallo del terzo millennio, divenuto un vero e proprio mainstream, fa della scienza, in particolare la fisica per l’impianto fondamentale e le neuroscienze in collegamento con le teorie evoluzioniste neodarwiniane per l’antropologia, l’unico sapere fondamentale accettabile perché ritenuto e dichiarato accertabile. Ci si dovrebbe domandare quanta meta-fisica ci sia in tanta fisica; quanto più la filosofia è diventata prudente in questo ambito, tanto più dilaga, consapevole o no, la tendenza meta- di molti scienziati e di molti loro lettori. Per questo importante capitolo, qui limitato a questo breve cenno, è indispensabile rinviare alla distinzione tra Inizio e Origine proposta da Massimo Cacciari[7] (per quanto la terminologia possa essere anche altra e la tesi ontologica altrimenti svolta; si veda il saggio di Guglielminetti su personale e impersonale). Se il confronto con la scienza a proposito del mondo e dell’uomo è indispensabile, bisogna stabilirne le condizioni; per la teologia, che deve colmare la divaricazione con la ricerca scientifica più avanzata, vale però la considerazione conclusiva di Ceragioli, al fine di evitare che essa diventi ermeneutica della scienza (contemporanea) piuttosto che delle testimonianze della fede.
Le parole, il linguaggio. Parlare di nominazione di Dio, come s’è fatto più sopra, vuol dire evocare la domanda sul linguaggio, sia in generale sia su quello religioso e teologico in particolare. Anche qui l’oscillazione è ampia, dalla fiducia piena alla sua sospensione o alla sua critica radicale. Non sempre nel dibattito che stiamo ricostruendo la distinzione tra linguaggio religioso (fatto di simboli, metafore, racconti, riti, leggi) e quello teo-logico (concetti, argomentazioni, «dogmi»), improntato al logos filosofico e scientifico, è davvero presa in esame e assunta per l’autocomprensione di entrambi. Molto linguaggio religioso, biblico in specie, appartiene più al campo della letteratura che a quello della sapienza, confinante ma non identificabile con l’istanza filosofica. Possibilità e limiti sono di entrambi i lati di questo linguaggio. L’insidia oggi più diffusa è quella che di fatto nega la valenza e la potenza del linguaggio simbolico in quanto tale, poiché mina a priori la possibilità di quello teologico e di quello filosofico quando vogliano inoltrarsi nella dimensione dell’ulteriorità.
Il linguaggio è uno specchio, grazie al quale possiamo riflettere su ciò che siamo e possiamo essere (Björn Larson direbbe homo sapiens sapiens[8]), specialmente se osiamo parlare in divinis. Una mancata considerazione su potenza e limiti del linguaggio religioso porta ad una sua destituzione di valore cognitivo e pratico e alla elisione di momenti fondamentali dell’esperienza, spesso in trasmigrazione occulta altrove (oggi alla tecnica). Il linguaggio religioso, per quanto passibile di esame critico, è extra-territoriale rispetto ad altre istanze; quello teologico lo è solo parzialmente e nella misura in cui dipende da quello religioso, per sua costituzione più esposto all’analisi filosofica e scientifica ma anche in grado di reggerne il confronto.
Certo può essere inquietante registrare oggi una tendenziale afasia dell’esperienza religiosa, cristiana in particolare, di cui la teologia è approfondimento critico e apologetico ma non sostitutivo. Solo una concezione poetica del linguaggio religioso lo può riscattare da troppo facili destituzioni di valore e creare le premesse per una sua rinascita.
I nomi, le occasioni. Come la lode a Dio si innalza in sæcula sæculorum, così in contrappunto sempre e da ogni parte si levano, ben diverse tra di loro, le domande a Dio e su Dio. Rispondere, se lo si ritiene sensato, è un compito inevitabile, mai concluso, per molti mai adeguato. Da un lato c’è la necessità di trovare una parola, anche quando se ne sospende il valore di tutte, dall’altra la quasi impossibilità di realizzare questo intento. Incombe il silenzio, pieno o vuoto, ma può trasformarsi in canto, anche in un «canto ultimo». Né si deve dimenticare che, come s’è appena detto, il linguaggio religioso è fatto di simboli e metafore, che in alcuni casi restano vive e in altre diventano morte, salvo risorgere per forza poetica e per genialità ermeneutica.
Le stesse domande, poi, in tempi diversi acquistano un significato e una funzione diversa. È ciò che capita nel post-teismo e a partire dal post-teismo, ma non solo. Questo tempo – della modernità e della sur/postmodernità - è l’epoca della morte di Dio, della secolarizzazione e della post-secolarizzazione, dell’avvento della spiritualità ma anche dell’oblio sconsiderato di Dio (ma, inevitabilmente, anche di ciò che vi è connesso, l’incommensurabile, se vogliamo prendere a prestito una suggestione di François Jullien). Se è vietato porre la domanda sul senso – della cose, della vita –, la domanda su Dio è a priori disattivata[9]. Questa condizione tocca chiunque, non senza effetti paradossali anche per coloro ai quali la domanda risuona indispensabile; infatti, in mancanza di interlocuzione perde una sua potenzialità, anche senza essere ridotta al mutismo.
I nomi propri sono una categoria a parte sia per la linguistica sia per la filosofia. In lotta con l’Angelo (1989), prendendo spunto dall’episodio biblico della lotta di Giacobbe con il misterioso Avversario al fiume Jabbok, fu il titolo scelto per un volume dedicato ad indagare la filosofia degli ultimi due secoli nel confronto con il cristianesimo – ma può essere esteso anche ad altro[10]. L’episodio che coinvolse chi si vide cambiare il nome in Israele, può tornare ispirante in questa occasione per un particolare. Al mattino nel momento del congedo il Lottatore, interrogato, non rivela il suo nome ma lascia un segno nella carne di Giacobbe. Non è l’unica possibilità, ma qualcosa anche in altri episodi biblici resta in sospeso. Infatti quando YHWH rivela a Mosè il suo Nome nel roveto, lo fa con un nome sfuggente, intraducibile e al tempo stesso pieno di senso, divenuto poi impronunciabile; all’Oreb Elia deve imparare un’altra grammatica della rivelazione; persino il nome di Abbà ha un che di sfuggente nel pieno della rivelazione cristica al Gethsemani e nel centro della preghiera cristiana (Romani, 8, 15. 26). Questa breve sequenza biblica ribadisce che il Nome e la nominazione di Dio sono insaturabili. Se talvolta la parola viene a mancare e il Nome resta sconosciuto, a chi cerca può restare impresso indelebile il segno dello sciancato o qualcosa di simile. Come dice Nelly Sachs: «Quello che avvenne tra i denti della notte / è intessuto nel muschio nero dell’enigma – / nessuno torna illeso dal suo dio – // Ma le stelle sbandate riposano nel verbo / e gli subentra zoppicando distorta nostalgia»[11].
Oreste Aime
[1] Numerosi sono i riferimenti a Pierre Teilhard de Chardin; forse è altrettanto indicativa l’assenza di confronto con Pavel A. Florenskij.
[2] Si veda H. Joas, Was ist die Achsenzeit? Eine wissenschaftliche Debatte als Diskurs über Transzendenz, Schwabe, Basel 2014; trad. it. L’età assiale. Un dibattito scientifico sulla trascendenza, Inschibboleth, Roma 2022.
[3] P. Tillich, The Irrelevance and Relevance of the Christian Message for Humanity Today, Pilgrim Press, Cleveland 1996 ; trad. it. L’irrilevanza e la rilevanza del messaggio cristiano per l’umanità oggi, Queriniana, Brescia 20212.
[4] Altri riferimenti alla teologia di quel periodo, da Karl Rahner a Hans Urs von Balthasar, da Jürgen Moltmann a Eberhard Jüngel sono pressoché assenti (il caso di Paolo Gamberini è a parte); persino la teologia della liberazione, da cui provengono elaborazioni in direzione post-teista, sembra ridursi ad un antecedente storico.
[5] J. Derrida, Sauf le nom, Galilée, Paris 1993. Si veda anche U. Curi, Parlare con Dio. Un’indagine tra filosofia e teologia, Bollati Boringhieri, Torino 2024.
[6] P. Sequeri, Il grembo di Dio, Città Nuova, Roma 2023, soprattutto il Libro I.
[7] M. Cacciari, Metafisica concreta, Adelphi, Milano 2023, in particolare pp. 204-278.
[8] B. Larsson, To Be or Not to Be Human. The Human Human Being and the Not So Human Sciences; trad. it. Essere o non essere umani. Ripensare l’uomo tra scienza e altri saperi, Cortina, Milano 2024.
[9] S. Givone, Quant’è vero Dio. Perché non possiamo fare a meno della religione, Solferino, Milano 2018.
[10] C. Ciancio, G. Ferretti, A.M. Pastore, U. Perone, In lotta con l'angelo. La filosofia degli ultimi due secoli di fronte al Cristianesimo, SEI, Torino 1989; T. Radcliffe, Ł. Popko, Questioning God, Bloomsbury, Londra 2023; trad. it. Domande di Dio, domande a Dio, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2023, pp. 58-65 e passim; R. Esposito, I volti dell’Avversario, Einaudi, Torino 2024.
[11] N. Sachs, Poesie, trad. it. di Ida Porena, Einaudi, Torino 1971, p. 75.